Abbiamo attraversato ed oltrepassato Horn, senza soste, svoltando a destra abbiamo raggiunto le periferie della cittadina e poi, dopo altre cinquecento iarde, abbiamo svoltato alla nostra sinistra, e abbiamo seguito una bella strada asfaltata costeggiata da alberi e prati oltre i quali si possono ammirare altri alberi ancora — la stessa, infinita Foresta di Teutoburgo nelle vesti d’autunno, che non potevo mai stancarmi di ammirare. Ho guardato a destra e a sinistra, e dritto davanti a me, senza dire una sola parola. Osservavo il calare della sera sulle foglie rosso fuoco e gialle e marroni pronte a cadere, pensando alle aquile imprigionate e alla Germania in schiavitù, e bramando il Giorno della Vendetta — “der Tag der Rache” — come ho fatto costantemente, in effetti, per gli ultimi otto anni e mezzo.
Poi, sbarrando all’improvviso la strada, una schiera di rocce verticali alte circa cento piedi — ma ancora più alte alla vista, specialmente da breve distanza — apparve, stagliandosi uniformemente grigia contro il luminoso sfondo del cielo al tramonto. Le riconobbi immediatamente avendo già visto delle immagini delle stesse, ed esclamai a bassa voce, con rapimento: “Die Externsteine!”
Scendemmo dall’automobile. Automaticamente, mi posi a parte dal resto dei viaggiatori, come se fossi cosciente del fatto che appartenevamo a due mondi diversi; che loro, anche se Tedeschi, qui erano solo turisti, mentre io, nonostante fossi straniera, ero già una pellegrina.
Guardai in alto verso le forme irregolari delle rocce che si frapponevano tra me e la foresta più lontano, in cui la strada conduceva. Le sagome, così familiari, mi affascinavano. Non che fosse la prima volta nella mia vita in cui visitavo un luogo marchiato dal prestigio di un antichissimo culto del Sole: era tutto fuorchè la prima volta! Avevo visto Delfi e Delo, e le rovine dell’Alto e del Basso Egitto: Karnak e le Piramidi. E in India avevo visitato la celebre “Pagoda Nera” costruita secondo la forma di un carro solare che giace su dodici enormi ruote, ognuna delle quali corrisponde a un segno dello Zodiaco, e che presenta in varie sculture le più belle illustrazioni in assoluto della Vita in tutti i suoi stadi — in tutta la sua pienezza — dalle più selvagge scene erotiche che adornano gran parte della superficie delle mura inferiori, alla serena fissità della meditazione solitaria –: la meditazione dello stesso Dio Sole, la cui statua domina in posizione seduta l’intera struttura. Ed anche avevo visitato lo straordinario tempio di Sringeri, ognuna delle dodici colonne del quale viene colpita a turno dai primi raggi del Sole, nel giorno in cui esso entra in una nuova costellazione.
A sinistra: “Pagoda Nera” ( Tempio del Sole di Konarak ), metà del XIII secolo d.c. Il tempio, ora per la maggior parte in rovina, fu ideato per rappresentare il carro celeste del dio del sole vedico Surya che attraversa i cieli, trainato da sette cavalli. A destra: Mithuna (figure erotiche) all’esterno della Pagoda Nera.
Ma mai sino ad oggi (salvo una sola volta, in Svezia) mi ero trovata in un luogo santificato dal Culto della nostra Stella Genitrice — l’antico culto della Luce e della Vita — in terra germanica. E queste Rocce, lo sapevo, erano state il centro dei riti solari germanici nella notte dei tempi. Mi sentii come una persona venuta da una terra molto, molto lontana — che aveva camminato molto a lungo e per tanto tempo — con uno scopo ben definito, e che alla fine raggiunge l’obiettivo. Ora avevo raggiunto, se non la fine (perchè non c’è una fine), almeno il climax del mio pellegrinaggio attraverso la Germania, ed attraverso la vita. Ed ero felice. Avevo raggiunto la Fonte in cui avrei potuto rifornire le mie forze spirituali per la Lotta eterna nella sua forma moderna: la Lotta delle Potenze della Luce contro le Potenze dell’Oscurità, di cui personalmente ho fatto esperienza nei termini della Lotta tra i valori del Nazionalsocialismo e quelli del Cristianesimo da una parte e del Marxismo dall’altra — rispettivamente, della più antica e della più recente dottrina giudaica per la consunzione ariana, che io avevo combattuto e che avrei continuato a combattere infaticabilmente.
Fissai il mio sguardo sulle irregolari Rocce grigio-scuro; e le lacrime mi riempirono gli occhi. E non appena le persone con cui avevo viaggiato mi salutarono per seguire la guida giunta per accompagnarle durante la visita, ne fui lieta: era mio desiderio vedere le Rocce senza fretta e per quanto possibile, da sola.
Proprio di fronte a me stava la roccia più alta; un lungo, rozzo cilindro — o piuttosto un prisma — di pietra, inclinato molto lievemente verso sinistra come il tronco di un enorme albero consunto dal tempo e mutilato dagli uomini, senza che gli stessi siano stati capaci di distruggerlo. Sapevo che alla sommità di quella roccia si trovava il santuario da cui gli antichi saggi erano soliti salutare la Prima Alba, la mattina del Giorno del Soltizio d’Estate. Da sotto, è possibile vedere il ponte dal quale oggi si accede ad esso — il ponte che ora unisce la roccia più alta, comunemente chiamata “la seconda”, a quella sulla sua sinistra, comunemente detta la “terza” (così detta, perlomeno, nello studio archeologico dettagliato sulle Externsteine che avevo letto in precedenza).
Lentamente ho camminato lungo le scale scavate nella viva roccia sul fianco della “terza” rupe, fermandomi qua e là per ammirare il panorama sul quale i miei occhi vagavano, da un pò più in alto ad ogni nuovo passo che muovevo: il laghetto nelle cui quiete acque la rupe più lontana sulla destra — la “prima” — si tuffa verticalmente; i folti boschi, dietro; l’ampiezza della strada dalla quale ero giunta, al di là del pendio sulla sinistra ed oltre il lago, nelle foreste lontane; e, sull’altro lato — a nord-est, da dove ero venuta — le colline fitte di boschi attorno ed oltre Horn e Detmold. Nel fuoco del tramonto, le tonalità di rosso nella foresta d’autunno apparivano più luminose, mentre le cromìe marroni sembravano più rosse. E il lago era una superficie liscia di lucente oscurità e di acceso arancio-oro, sul lato opposto della quale ero in grado di distinguere il riflesso a rovescio della foresta. Continuai a salire, sempre più in alto e, una volta oltrepassato il ponte senza osare lanciare una sola occhiata al vuoto sottostante, mi trovai di fronte all’antichissimo santuario che ero venuta a vedere. Ed ebbi un brivido, sopraffatta dalla sensazione di trovarmi su un terreno sacro.
E’ difficile dire come doveva apparire un tempo il santuario. Oggi, a quasi dodici secoli dalla sua sistematica distruzione ad opera del fanatismo cristiano, è possibile poggiare i piedi su un pavimento di pietra lungo circa sei iarde e largo neanche quattro, privo di tetto. A una estremità della sala, alla destra di chi entra, ossia a nord-est, è visibile un grande pezzo di roccia — una parte della rupe su cui ci si trova — intagliato in una cavità a volta, la pedata della quale è un piede più in alto rispetto al pavimento. Nel mezzo, intagliato nel medesimo blocco di pietra, c’è un pilastro, con un apice piatto, simile a un tavolo, largo circa un piede e lungo due e mezzo in profondità; e sopra di esso, intagliato nel solido, naturale muro di nord-est della sala misteriosa, una apertura, perfettamente circolare, del diametro di poco superiore a un piede (37 centimetri, per l’esattezza).
All’altra estremità del pavimento — alla sinistra di chi entra,provenendo dal ponte,ovvero a sud-ovest — è posta una nicchia rettangolare, più alta anche di un uomo di statura molto elevata, della larghezza di circa cinque piedi e lunga oltre un piede in profondità, con un pilastro ad ogni lato di essa. E nel muro di roccia opposto al ponte — a nord-ovest — c’è una finestra che guarda in direzione della rupe limitrofa e del lago alle sue spalle. I muri che un tempo esistevano tra la camera a volta e il resto della struttura, a sud-est e nord-ovest, sono ora rimpiazzati da ringhiere in ferro. Il tetto del santuario era la parte orientale della sommità della rupe stessa. E’ stata distrutta, lasciando l’intero posto, con la sola eccezione della cavità a volta, come ho avuto modo di dire, a cielo aperto.
Ciò che è rimasto della Camera del Sole, sulla sommità delle Externsteine.
Con le spalle rivolte alla parete sud-ovest, dietro la quale il Sole ora si stava posando, giunsi alle rovine della venerabile vetta. Qui, nello stesso tempo in cui grandi re egizi della Dodicesima Dinastia stavano erigendo i loro maestosi templi e le loro eterne tombe; al tempo in cui i misteriosi signori del mare di “Middle Minoan II” regnavano su Creta e le Isole dell’Egeo; prima delle più antiche conquiste ariane ad Est comprovate da datazione– oltre 4000 anni fa — i saggi, leader spirituali delle tribù germaniche, e guardiani dei Valori naturali che rendevano le loro vite degne d’esser vissute, si sarebbero riuniti, e avrebbero salutato la Prima Alba, nel Giorno sacro, in giugno.
Nel mezzo del pilastro nella camera a volta, è ancora visibile una cavità quadrangolare. Qui era collocata, incastrata in esso, un’asta, la sommità della quale si trovava su una linea retta il cui punto più basso si trovava sul bordo dell’apertura rotonda nella parete nord-orientale e un altro punto era nel mezzo della nicchia che avevo di fronte a me — la linea del Solstizio, che corre da nord-est a sud-ovest. In tal modo, allorquando il Sole nascente fosse apparso esattamente al bordo più basso dell’apertura circolare di pietra, e, al contempo, precisamente dietro l’estremità superiore dell’asta, ad un osservatore che si trova in piedi in un punto rigorosamente determinato nel mezzo della nicchia, allora si poteva dire con certezza che si trattava del Giorno del Solstizio d’Estate, dalla cui precisa determinazione dipendeva il calendario nella sua interezza — e di conseguenza le festività, e l’intera vita della comunità.
Per alcuni giorni precedenti e successivi al Solstizio d’Estate, l’Astro nascente avrebbe fatto la sua comparsa all’interno di un determinato raggio, sul bordo laterale dell’apertura circolare. Il punto della sua comparsa avrebbe dato l’impressione di viaggiare da un punto laterale del cerchio, giù verso la parte più bassa dello stesso, e poi di nuovo all’insù. I saggi erano soliti osservarlo giorno dopo giorno, in maniera tale da comprendere quando, con esattezza, si sarebbe manifestata la prima Alba — l’Alba rigorosamente in armonia con la linea immutabile del Solstizio. E non appena l’avessero vista — un punto dorato intensamente luminoso sull’orlo dell’apertura circolare; un raggio di luce nella camera oscura — essi avrebbero lanciato dall’alto di questa rocca la formula della vittoria che annuncia l’inizio della grande festa d’estate al popolo riunito sotto la rupe: “Siege, Licht” — “Trionfo, Luce”.
Ho pensato a ciò che avevo letto, ed a ciò che mi era stato riferito da quei Germani moderni fedeli all’antica Sapienza solare; quei Germani che, inaspettatamente, ad essa sono tornati, attraverso quella moderna Fede nel Sangue e nel Suolo — quella Fede Arya che chiamiamo Nazionalsocialismo — che a me li lega. Ho pensato a ciò, ed ho immaginato, o quantomeno ho cercato di immaginare, le scene solenni che hanno avuto luogo, anno dopo anno, per secoli, che dico?, per millenni, su questa rocca; scene, la regolarità delle quali sembrava eterna, proprio come quella della ricomparsa dei sacri Giorni. Ed ho pensato alla fine improvvisa del Culto della Luce; alla distruzione di questo santissimo luogo dell’antica Germania da parte di Carlo Magno e dei suoi fanatici Franchi cristiani. Ho immaginato la metà della sommità della Rocca — che un tempo era stata la culla di questo santuario — violentemente spaccata (in due) dal resto di essa e gettata giù, lì, dove i suoi frammenti ancora oggi possono essere visti: la sacra cella dissacrata; la Terra sacra perseguitata, la sua gente obbligata col ferro e col fuoco ad accettare il credo straniero della falsa mansetudine, di cui ancora oggi è schiava. Ho immaginato la soldataglia franca — uomini di sangue germanico, “crociati in Germania” in nome di un profeta straniero e di un potere terreno straniero — intenta a devastare queste Rocce consacrate; ad uccidere chiunque trovasse sul proprio cammino; ad appiccare il fuoco a tutto ciò che poteva bruciare; a spianare la strada, attraverso il terrore, ai suoi nuovi maestri: i monaci, i veri “rieducatori della Germania” nella peggior accezione di questa parola tanto detestabile, che avrebbero soffocato (se avessero potuto) ogni singola scintilla dell’antica Sapienza solare — della sapienza Arya — nella sua principale Roccaforte europea.
Questo accadeva nell’anno 772 dell’era cristiana — 1181 anni fa. Ma quanto tragicamente moderno appare, tutto ciò! Quei primissimi “crociati in Germania” apparvero ai miei occhi, in maniera più vivida che mai, come i precursori dei sinistri “crociati in Europa” di Eisenhower. Essi avevano combattuto nel nome dei medesimi odiati valori cristiani, in definitiva per il trionfo della medesima potenza internazionale, sia temporale che spirituale — la Chiesa — che era, ed è tutt’oggi, il potere dell’Ebraismo camuffato. Avevano combattuto contro i medesimi eterni valori della Paganità germanica — la naturale, eroica religione della gente più nobile d’Occidente, in cui, allora come oggi, l’Anima Ariana ha trovato la sua espressione più esatta in questo continente. Ed essi li avevano perseguitati con una simile ferocia, e forse con una ancor più grande efficienza; con una simile ed ancor più grande sistematicità tutta germanica. E ricordai che Eisenhower (che sia maledetto!) ha anche ascendenze germaniche. Ed ancora una volta ho odiato la follia che tante volte nel corso della storia ha scagliato popoli dello stesso buon sangue nordico in guerre fratricide per amore di infantili superstizioni che i Giudei — ed i loro agenti consci o inconsci — hanno instillato nelle loro teste senza che loro neanche lo sospettassero.
E allorquando il quadro complessivo della distruzione dell’antica religione e della cristianizzazione della Germania si impose tragicamente alla mia attenzione, non solo in tutta la sua crudeltà ma in tutta la sua completezza, realizzai — non per la prima volta, certo, ma forse in maniera più intensa che in passato — che le principali date della guerra di Carlo Magno contro i Sassoni, il 772 ed il 787, sono -dal punto di vista dei Germani, e ciò che più importante, dallo stesso punto di vista ariano- anche più nefaste del 1945. Poichè il marchio del credo straniero, ed in specie della scala di valori straniera, anti-naturale, anti-razziale, è visibile ancora oggi in tutti Germani, eccezion fatta per una minoranza; in tutti gli Europei, eccetto che in una minoranza ancora più ristretta. Lo spirito del vigoroso e saggio guerriero Arya — lo spirito della violenza distaccata esercitata al solo fine di compiere il dovere; il nostro spirito — ha attraversato un millennio per riaffermare se stesso attraverso una dottrina di pura ispirazione germanica, in una élite germanica, dopo il disastro inflitto, poi, a coloro i quali se n’erano fatti espressione. Mentre nel pieno disprezzo delle enormi perdite e delle sofferenze senza fine noi — la minoranza nazionalsocialista; il moderno tipus Pagano Ariano — siamo sopravvissuti a questo disastro; siamo sopravvissuti, grazie alla nostra fede ardente ed alla nostra volontà di ricominciare. E non avremo bisogno di altri mille anni, neanche di un secolo, neanche di un decennio (se le circostanze saranno favorevoli) per assurgere ancora una volta a piena potenza. Può darsi che il nuovo mondo che stavamo costruendo giaccia — per il momento — in completa rovina, ai piedi dei nostri vincitori. Ma la nostra Weltanschauung è intatta nei nostri cuori. E ci sono alcuni più giovani di noi pronti a portare avanti il nostro lavoro, quando saremo morti; giovani che un giorno sfideranno i “rieducatori” della Germania ed il loro programma, ed il loro insegnamento ed il loro spirito, anche se un tempo carico di collera negherà ad essi il piacere di uccidere le loro persone.
Al solo pensiero mi sentii esaltata. Mi guardai intorno, guardai in direzione del santuario solitario e dissacrato; volsi lo sguardo sopra di me, all’incombente, obliqua rupe, da cui la massiccia radice monolitica fu violentemente recisa, circa 1200 anni prima — la ferita permanente inflitta dai primi “crociati in Germania” su questo nobile altare del culto nazionale della Luce. E in un lampo rievocai alla mente la mia battaglia durata tutta la vita contro la piaga cristiana — in Grecia, nel nome dell’Ellenismo distrutto; in India, nel nome della mai infranta Tradizione Hindu; ovunque nel nome dell’orgoglio ariano e della verità della Natura. E immaginai il ruolo simile che mi sarebbe piaciuto giocare qui, tra la gente del mio Führer, dopo la ricostituzione del Nuovo Ordine Nazionalsocialista, un giorno, non importa quando. “Sì, noi siamo vivi”, pensai, pieni di fiducia in noi stessi e pieni di fiducia nei confronti di quella minoranza germanica che pensa e sente come io sento e penso. “La sconfitta non ci ha uccisi; ci ha solo resi un pò più accaniti e risoluti. Un giorno noi vi vendicheremo, Rocce ferite che da così lungo tempo rivolgete a noi il vostro grido, e voi, nostri fratelli ed antenati, voi guerrieri che siete morti difendendo gli accessi di questo nobile luogo! Ovunque io sia all’albeggiare del nostro Giorno, possano le Potenze celesti garantire il mio ritorno, affinchè io possa prendere parte attivamente alla vendetta!”
A luglio vado a das Altes Lande. Per ora ho visitato Helgoland e adesso, dopo aver letto questo testo, voglio visitare questo luogo con lo stesso spirito della scrittrice, sperando di rinfrescarmi l’anima e poter continuare a sopportare questo mondo allo sfacelo. Grazie per queste letture dello spirito.