La testimonianza della distruzione del Mu, la Madreterra dell’Uomo, è davvero strana. Essa ci dà la probabile soluzione del mistero delle razze bianche nelle Isole del Sud Pacifico, e ci fa conoscere la grande civiltà che fiorì nel Pacifico centrale e che si estinse quasi nel giro di una notte. Fino a qualche decennio fa gli scienziati sarebbero stati molto scettici sulla ipotesi della remota esistenza nell’oceano Pacifico di un enorme continente quale fu il Mu. Ma recentemente sono venute alla luce testimonianze del passato e, sulla base di raffronti, si è avuta la prova che quella terra esistette. Le prove sono di vari tipi.
Primo, come ho già spiegato nel primo capitolo, vi sono le tavole sacre portate alla luce in un tempio indiano e decifrate con l’aiuto di un dotto sacerdote. Queste tavole mi diedero la prima traccia sulla esistenza del Mu e mi spinsero a ricerche in tutto il mondo. Furono scritte dai Naacal, in Birmania o nella Madreterra. Testimoniano come i Naacal fossero venuti dal Mu, il continente nel centro del Pacifico. Esse parlano anche della storia della creazione dell’uomo e del suo apparire su questa terra. Documenti di epoca posteriore scritti nel Mayax, in Egitto e in India raccontano e descrivono la distruzione della terra del Mu, quando la crosta terrestre fu frantumata dai terremoti e sprofondò in un abisso di fuoco. Poi le acque agitate del Pacifico la ricoprirono e si formò una distesa di acqua laddove un tempo vi era stata una meravigliosa civiltà.
Secondo, la conferma del Mu è in altri manoscritti antichi, tra cui un testo classico come il Ramayana, poema epico indù scritto dal saggio e storico Valmiki, per ordine di Narana, sommo sacerdote del tempio Rishi a Ayhodia, il quale gli lesse i documenti antichi del tempio. In un punto Valmiki cita i Naacal, dicendo: “e vennero in Birmania dalla terra della loro origine nell’Est”, cioè in direzione dell’oceano Pacifico. Un altro documento che conferma la storia delle tavole sacre e di Valmiki è il Manoscritto Troano, oggi conservato nel British Museum. È un antico libro Maya scritto nello Yucatan. Parla della “Terra del Mu”, usando per il Mu gli stessi simboli che troviamo in India, in Birmania e in Egitto. Altro riferimento è il Codex Cortesianus, un testo Maya all’incirca della stessa epoca del Manoscritto Troano. Poi vi è il Documento Lhasa, con centinaia di altri raccolti in Egitto, Grecia, America Centrale, Messico, nonché i graffiti scoperti nell’Ovest degli Stati Uniti.
Terzo, vi sono ruderi che, per la loro ubicazione e per i simboli che li decorano, testimoniano l’esistenza del continente perduto Mu, la Madreterra dell’Uomo.
In talune Isole dei Mari del Sud, specialmente nelle Isole di Pasqua, Mangaia, Tongatabu, Panape e Ladrone o Marianne, si trovano ancor oggi vestigia di vecchi templi di pietra e altri resti litici che ci riportano all’epoca del Mu. A Uxmal, nello Yucatan, un tempio distrutto reca iscrizioni commemorative delle “Terre dell’Ovest, donde venimmo;” e la straordinaria piramide messicana a sud-ovest di Città del Messico, fu innalzata, secondo le iscrizioni che reca, come monumento in memoria della distruzione di quelle stesse “Terre dell’Ovest”.
Quarto, vi è l’universalità di determinati simboli e usanze antichi, scoperti in Egitto, Birmania, India, Giappone, Cina, Isole dei Mari del Sud, America Centrale, Sud America, e presso alcune tribù indiane del Nord America e altri centri di antiche civiltà. Simboli e usanze sono così identici che sicuramente derivarono da un’unica fonte: il Mu. Con tali premesse, quindi, possiamo affrontare il racconto della distruzione del Mu.
Quel continente era una vasta distesa di terreno ondulato che andava da nord delle Hawaii e giù, verso sud. Tracciando una linea tra l’isola di Pasqua e le Figi si ha il suo confine meridionale. Copriva oltre 8000 chilometri da est a ovest e sui 5000 da nord a sud. Il continente era formato da tre zone divise l’una dall’altra da stretti canali o da mari.
Sulla base della descrizione riportata su documenti di cui parlerò ai capitoli IV e V, tenterò di rappresentarlo come fu.
Risalendo lontano, molto lontano, a tempi remotissimi – molte, molte migliaia di anni fa, eppure sull’orlo di quella che chiamiamo epoca storica – vi fu un grande continente nel mezzo dell’oceano Pacifico dove adesso troviamo solo acqua e cielo, e gruppi di isolette, che oggi sono chiamate le Isole dei Mari del Sud.
Fu un bellissimo paese tropicale con vaste pianure.
Vallate e pianure erano coperte di ricche erbe da pascolo e di campi arati, mentre le “terre collinose e ondulate” erano ombreggiate da una vegetazione lussureggiante di tipo tropicale.
Su questo paradiso terrestre non si ergevano monti o catene montuose, perché le montagne non erano ancora state spinte in alto dalle viscere della terra.
La grande terra ricca era intersecata e bagnata da molti corsi d’acqua e fiumi ampi, dalle calme acque, che tracciavano il loro cammino tortuoso formando curve e anse fantastiche ai piedi delle colline boscose e attraverso le fertili pianure. Una vegetazione rigogliosa rivestiva il terreno di un manto verde, soffice, piacevole e riposante. Vivaci fiori profumati sugli alberi e sui cespugli aggiungevano colore e grazia al paesaggio. Alte palme fronzute bordeggiavano le sponde dell’oceano e gli argini dei fiumi per molti chilometri nell’entroterra. Grandi felci dalla ricca chioma protendevano i loro lunghi rami dagli argini dei fiumi. Nelle vallate ove la terra era bassa i fiumi si allargavano a formare dei laghi poco profondi, presso le cui sponde miriadi di sacri “fiori di loto” punteggiavano la scintillante superficie dell’acqua simili a gioielli multicolori incastonati nel verde smeraldo.
Vicino alle fresche acque, volteggiavano, all’ombra degli alberi, farfalle dalle ali vivaci, che si innalzavano e ricadevano in movimenti fatati, quasi per meglio rimirare la loro colorita bellezza riflessa nello specchio della natura. I colibrì, saltando di fiore in fiore, facevano i loro brevi voli, risplendenti come gioielli vivi sotto i raggi del sole.
I piumati uccelli canterini gareggiavano l’un l’altro, ora su una macchia, ora su un albero, nei loro dolci gorgheggi.
I canti dei vivaci grilli riempivano l’aria, ma su tutto sovrastava il rumore della cavalletta mentre abilmente “arrotava le sue forbici”, dicendo al mondo intero che tutto le andava a meraviglia.
Le foreste primordiali erano popolate da mandrie di mastodonti e elefanti poderosi, che battevano le grandi orecchie per scacciare insetti molesti.
II vasto continente ferveva di vita gaia e felice e 64.000.000 di esseri umani vi regnavano sovrani. Tutta questa vita esultava nella lussureggiante terra natale.
Larghe strade piane correvano in tutte le direzioni “come una tela di ragno”, e le pietre che ne formavano il selciato erano così perfettamente unite che l’erba non vi cresceva in mezzo.
All’epoca della narrazione, i 64.000.000 di esseri umani erano divisi in “dieci tribù” o “popoli”, ognuno distinto dall’altro, ma tutti sotto un unico governo.
Molte generazioni prima, il popolo aveva scelto un re e aggiunto il prefisso Ra al suo nome. Egli divenne poi capo ieratico e imperatore sotto il nome di “Ra Mu”. L’impero ebbe il nome di “Impero del Sole”.
Tutti professavano la stessa religione, la venerazione della Divinità tramite simboli. Tutti credevano nella immortalità dell’anima, la quale alla fine tornava alla “grande sorgente” donde era venuta.
Tale fu la venerazione della Divinità, che mai ne pronunziavano il nome, e nella preghiera o nella supplica si rivolgevano sempre a Lui attraverso un simbolo. “Ra il Sole” fu usato come simbolo collettivo per tutti i Suoi attributi.
Come sommo sacerdote, Ra Mu era il rappresentante della Divinità negli insegnamenti religiosi. Tuttavia fu chiaramente inteso che Ra Mu non doveva essere venerato, in quanto era solo un delegato.
A quell’epoca il popolo di Mu era altamente civilizzato e illuminato. Non v’era barbarie sulla faccia della terra, né v’era mai stata, poiché tutti i popoli della terra erano figli del Mu e sotto la sovranità della Madreterra.
La razza dominante nel continente del Mu era una razza bianca, gente bellissima, con carnagione molto chiara o olivastra, occhi grandi, dolci, scuri, e capelli neri e lisci. Oltre a questa razza bianca, ve ne erano altre, con carnagioni gialle, marroni o nere. Queste, tuttavia, non dominavano. Gli antichi abitanti del Mu furono grandi navigatori e marinai, i quali percorsero il mondo con le loro navi dai mari orientali a quelli occidentali e dai mari del nord a quelli del sud… Furono anche esperti architetti, e costruirono grandi templi e palazzi in pietra. Scolpirono e eressero grandiosi monoliti come monumenti.
Nelle terre del Mu prosperarono sette grandi città, le principali sedi di religione, scienza e dottrina.
Molte altre furono le grandi città, i piccoli centri e villaggi sparsi dovunque nelle tre zone.
Molte città furono costruite alla foce di grandi fiumi, o nelle loro vicinanze, poiché là erano i centri commerciali e di traffico e da là partivano e arrivavano le navi che toccavano tutte le parti del mondo.
Il Mu fu la madre e il centro della civiltà, del sapere, dei traffici e del commercio della terra; tutti gli altri paesi del mondo erano sue colonie o imperi coloniali.
In base a documenti, iscrizioni e tradizioni, l’avvento dell’uomo sulla terra si verificò nel Mu e per questa ragione il nome “terra di Kui” fu aggiunto a quello di Mu. Grandi templi di pietra scolpita, senza tetto, chiamati talora templi “trasparenti”, abbellivano le città; la mancanza del tetto serviva a far cadere i raggi di Ra sulle teste di coloro che erano raccolti in supplica e in preghiera, a simboleggiare che la Divinità li aveva ascoltati. Le classi ricche si paludavano di vesti eleganti con molti gioielli e pietre preziose. Vivevano in palazzi maestosi con numerosa servitù.
Avevano fondato colonie in tutte le parti del mondo.
Grandi navigatori come erano, le loro navi facevano servizio continuamente tra una colonia e l’altra, caricando mercanzie e passeggeri.
Nelle fresche serate si potevano vedere imbarcazioni da diporto cariche di uomini e donne sfarzosamente vestiti e ingioiellati. I lunghi rami sensili di cui le imbarcazioni erano dotate davano un ritmo musicale ai canti e alle risa degli allegri passeggeri.
Allorquando questa grande terra fu al suo zenit, quale centro della civiltà, del sapere, dei traffici e dei commerci del mondo, ricca di grandiosi templi e di statue e monoliti enormi, essa ricevette un violento colpo; fu condannata da una temibile calamità, per volontà divina.
Brontolii dalle viscere della terra, seguiti da terremoti e eruzioni vulcaniche, sconvolsero le sue parti meridionali. Lungo le sponde a sud ondate enormi, da cataclisma, si riversarono dall’oceano sulla terra e molte belle città furono distrutte. I vulcani eruttarono fuoco, fumo e lava.
Poiché il suolo era pianeggiante, la lava non si sparse, ma si accumulò formando dei coni che successivamente divennero rocce vulcaniche, ancor oggi visibili in certe isole del sud. Alla fine l’attività vulcanica cessò. I vulcani si spensero e da allora sono rimasti tranquilli.
Una volta cessata l’attività vulcanica, il popolo del Mu superò gradatamente la paura. Le città distrutte furono ricostruite e il commercio e i traffici ripresero vita.
Molte generazioni dopo quella calamità, quando ormai il fenomeno era stato relegato nella storia del passato, il Mu fu di nuovo vittima dei terremoti. L’intero continente si sollevò e si agitò come le onde dell’oceano. La terra tremò e vibrò come le foglie di un albero nella tempesta. Templi e palazzi si frantumarono al suolo e monumenti e statue furono rovesciati. Le città si ridussero in cumuli di rovine.
Mentre la terra si sollevava e si abbassava, tremava e si scuoteva, i fuochi scoppiarono improvvisamente dal sottosuolo, fendendo le nuvole con fiamme rumoreggianti che avevano un diametro di cinque chilometri. Là s’incontrarono con i fulmini che riempivano il cielo. La terra fu sovrastata da una spessa cappa di fumo nero. Un enorme diluvio di acque marine si riversò sulle sponde e allagò le pianure. Città e ogni cosa vivente furono travolte e distrutte. Grida della moltitudine agonizzante riempirono l’aria. La gente cercò rifugio nei templi e nelle roccaforti, da dove peraltro fu respinta dal fuoco e dal fumo; donne e uomini nei loro abiti sgargianti e adorni di pietre preziose gridavano: “Mu salvaci!”.
Quando il sole al tramonto sbucò all’orizzonte da sotto la cappa di fumo che gravava su tutta la terra, fu come una palla di fuoco, rossa e irata. Quando fu calato dietro l’orizzonte, si diffuse una fitta oscurità, interrotta soltanto dal bagliore dei fulmini.
Durante la notte il Mu fu squarciato e frantumato. La terra condannata affondò con fragori di tuono. E andò giù, giù, giù, nella bocca dell’inferno – un serbatoio di fuoco. Quando la terra frantumata cadde in quel pauroso abisso di fuoco, le fiamme si levarono improvvise attorno e la inghiottirono. I fuochi reclamarono la loro vittima. Il Mu e i suoi 64.000.000 di abitanti furono immolati.
Mentre il Mu s’inabissava nella voragine di fuoco, un’altra forza lo reclamò: centotrenta milioni di chilometri quadrati di acqua. Ondate gigantesche affluirono tempestose da ogni parte. Si scontrarono là dove un tempo era il centro del continente. E là ribollirono e si agitarono.
Il Mu, la Madreterra dell’Uomo, con tutte le sue superbe città, i templi, i palazzi, le arti, le scienze e la cultura, era già un sogno del passato. La distesa di acque fu il suo lenzuolo funebre. La catastrofe del continente fu il primo passo per distruggere la prima grande civiltà della terra.
Per circa 13.000 anni la distruzione del Mu gettò un fitto velo su gran parte della terra. Quel velo viene ora sollevato, ma vari punti ne restano celati.
Quando il continente fu squarciato e sprofondò, per ragioni geologiche che spiegheremo più avanti, qua e là rimasero creste di monti e punte di terra affioranti dalle acque. Essi formarono isole e gruppi di isole, ma si presentarono frastagliate e dentellate a causa dell’attività vulcanica che si era verificata sotto.
Tutte quelle sporgenze e creste furono invase, fino alla massima capienza, dall’umanità fuggita dalla terra che sprofondava – la loro terra, la Madreterra dell’Uomo – che ormai formava il letto di acque ribollenti, fumanti, limacciose che si estendevano tutt’attorno.
Le acque, dopo avere inghiottita la terra con tutto quello che conteneva, si calmarono, quasi fossero state soddisfatte del loro sinistro lavoro, e formarono l’oceano Pacifico. Si è mai sentito un nome più ironico?
Sulle isole sparse in mezzo a un oceano tempestoso, si ammucchiarono i superstiti della popolazione del Mu, in attesa che le terribili scosse cessassero. Avevano assistito alla rovina dei templi, dei palazzi, delle navi, delle strade, tutti inghiottiti dalle acque. Quasi tutta la popolazione si era inabissata durante la catastrofe. I pochi scampati, i soli rimasti della Madreterra dell’Uomo, scoprirono di essere privi di mezzi. Non avevano nulla, né attrezzi, né vestiario, né riparo; poco suolo, niente cibo. Attorno era tutto un ribollire di acque sibilanti che si erano riversate impetuosamente nel centro della voragine di fuoco; sopra le loro teste dense nuvole di vapore, di fumo e di ceneri annullavano la benefica luce, immergendo tutto in una impenetrabile oscurità. Le grida disperate dei compagni che erano periti nel caos risuonavano ancora nelle loro orecchie. Per i sopravvissuti, che si trovarono abbandonati allo scoperto e col rischio di morire di fame, fu una prospettiva orribile. Pochi riuscirono a superare l’ardua prova e quasi tutti morirono miseramente.
Una parte di quei frammenti non sommersi del continente perduto vanno oggi sotto il nome di Isole dei Mari del Sud, e certi loro abitanti possono rivendicare, come remoti antenati, gli antichi abitanti del Mu.
Dopo un certo periodo di giorni, l’atmosfera si liberò abbastanza del fumo e dei vapori solforosi. Il sole, forando il velo di nuvole, scese sullo scenario. Le isole di nuova formazione erano stipate di uomini e donne terrorizzati, da coloro che erano, per fortuna o per disgrazia, ancora vivi. Creature dall’aspetto pietoso dovevano essere questi sopravvissuti della più grande catastrofe del mondo, il diluvio di fama biblica. Possiamo immaginare che si tormentassero le mani dalla disperazione, o si tenessero avvinti in gruppo, muti e immobili, fuori di senno, l’occhio fisso e spento rivolto nella direzione di un continente che non c’era più.
Come era finita quella bella terra? Giaceva nella profondità delle acque del Pacifico. Dove l’uomo aveva regnato sovrano vi era la dimora dei pesci, il regno delle cose misteriose e striscianti. Al posto dei fiori che si lasciavano baciare dal sole sarebbero cresciute le alghe marine: polipi avrebbero costruito le loro scogliere coralline sui luoghi dove le mani attive dell’uomo avevano innalzato palazzi. Di tutte le decine di milioni di genti che avevano affollato le strade delle città perdute, restava solo una manciata di poveri esseri umani, su nuove isole che, a parte la presenza dell’uomo, erano prive di vita. Tutto era andato distrutto! Quale sarebbe stato il loro futuro? Una lenta morte per inedia, e niente altro. Ammassati su minuscoli lembi di terra, migliaia di miglia dalla Madreterra, senza barche, né navi, né cibo.
In tali circostanze è facile immaginare che cosa accadde. Molti, naturalmente, avevano smarrito la ragione, impazziti dal terrore in modo irrimediabile; altri pregavano che la morte li liberasse da una situazione intollerabile. Per esistere, solo una cosa restò loro: abbassarsi ai più infimi livelli di barbarie e, almeno per un certo tempo, cibarsi l’uno dell’altro.
Pelli di animali, se ne erano rimasti, e foglie a fibra robusta dovettero essere, in seguito, il loro abbigliamento. Pietre, lance, frecce dovettero essere le loro armi di difesa e di offesa. Gli arnesi affilati furono certamente ricavati da selci e conchiglie. Ma la cosa principale fu: dove procurarsi il cibo? Molti, non v’è dubbio, morirono di stenti, di paura, di fame, e i loro cadaveri furono cibo per i superstiti. In tal modo, iniziò il primo cannibalismo e la prima ferocia selvaggia. Così i superstiti della più alta civiltà piombarono nella più infima barbarie che sarebbe continuata attraverso i secoli.
Si può immaginare il disgusto e la ripugnanza che esseri colti dovettero provare per un tale cibo, e molti, crediamo, morirono prima di essere costretti a accettarlo. Tuttavia, poco alla volta, col succedersi delle generazioni nel corso di lunghi anni, i poveri isolani si abbrutirono sempre di più finché le tradizioni del passato, inizialmente conservate con religiosità e tramandate ai posteri, si appannarono e finirono per essere dimenticate. L’antica grandezza fu cancellata dalle loro menti, così totalmente come le invise acque del Pacifico avevano spazzato via il Mu, ma di quel passato obliato restano dei segni tra gli isolani per un futuro riconoscimento, secondo una legge immutabile.
Ho detto che, con la distruzione del Mu, un velo di tenebre avvolse l’umanità; intendo, però, in senso comparativo. Gli imperi coloniali portarono avanti, per un certo periodo, la civiltà della Madreterra, ma senza il suo aiuto, subirono un lento declino e morirono. Dalle loro ceneri è sorta la nuova civiltà attuale.
Heil
potete consigliarmi qualche libro ben fatto,non le solite boiate new age, che tratti scientificamente del Sole Nero e del suo culto nelle varie civiltà iperboree fino ad arrivare al Nazismo?
grazie
Salve e grazie per il messaggio. Un libro che tratti scientificamente l’argomento sole nero, non saprei, dovrebbe specificare. Leggi i libri di Miguel Serrano in cui sicuro puoi trovare informazioni interessanti. Ti scrivo ancora per mail con ulteriori informazioni.