L’errore più comune che si commette, per quanto riguarda la religione della Mesoamerica, consiste nel credere che i Nahua e i Maya adorassero il Sole. In realtà, adoravano il Padre del Cielo direttamente oppure attraverso le sue personificazioni differenziate – i suoi Avatar, per dirla in corretto linguaggio teologico – cioè gli Dei creati. Lo stesso avveniva presso gli Scandinavi e, in modo generale, presso tutti i popoli “politeisti”. Naturalmente, non dovevano mancare credenti che prendevano i miti alla lettera, cosi come ci sono cristiani dalla formazione religiosa insufficiente che non interpretano correttamente il mistero della Trinità, o che considerino le diverse Madonne come persone diverse. Il mito non è forse, per l’appunto, la rappresentazione per immagini di un’idea complessa o difficile da comprendere, che in questo modo viene messa alla portata di tutti?
Gli abitanti della Mesoamerica, come gli Scandinavi, credevano in un Dio supremo creatore e conservatore dell’universo, un Dio “invisibile e impalpabile, come la notte e come l’aria”, dice Sahagun. “Il Dio grazie al quale noi viviamo; l’Onnipotente che conosce tutti i nostri pensieri, e il dispensatore di tutte le grazie; colui senza il quale l’uomo non è nulla; il Dio invisibile, incorporeo, dalla perfezione e dalla purezza perfette, sotto le cui ali noi troviamo la pace e un sicuro rifugio”. Al Padre del Cielo non veniva reso alcun culto, perché egli era al di là dei sacrifici, era inaccessibile alle preghiere e non era possibile rappresentarlo fisicamente. Veniva onorato nelle persone degli Dei creati, che erano semplicemente espressioni diversificate della sua potenza assoluta. Soltanto presso i Maya sembra avere un nome, Hunabcu, e neppure questo è certo. I Nahua non lo designavano se non per mezzo di perifrasi:”Colui della prossimità immediata” e “Colui grazie al quale viviamo”.
Questo Dio non aveva statue, perché nessuno “l’aveva conosciuto o visto fino ad oggi”, come dice Ixtlilxochitl. Si parla di un unico tempio dedicato dal re Nezaualcyotl al “Dio sconosciuto, creatore di tutte le cose”.
Snorri Sturlusson, l’autore islandese dell’Edda in prosa (1189- 1241), spiega perfettamente, nella prefazione della sua opera, la necessità che i popoli panteisti hanno di un Dio supremo:
Nacque in loro l’idea che dovesse esserci un reggitore delle stelle del firmamento, qualcuno che poteva ordinare tutti i loro corsi a proprio piacere e che doveva essere forte ed avere un grande potere. E credettero che fosse vero: che, se governava le cose più importanti della Creazione, doveva essere esistito prima delle stelle del cielo, e compresero che, se dirigeva il corso dei corpi celesti, doveva governare anche lo splendore del sole e la rugiada dell’alba, e i frutti della terra, e tutto ciò che vi cresce; e, allo stesso modo, i venti dello spazio e le tempeste del mare. Non sapevano ancora dove si trovasse il suo regno, ma credevano che ordinasse tutte le cose sulla terra e nel firmamento…” . Un secolo più tardi, l’imperatore inca Tupak Yupanki farà l’identico ragionamento più o meno negli stessi termini, come vedremo più avanti.
Tuttavia, il Padre del Cielo era più specialmente personificato, agli occhi dei credenti, da un Dio principale che veniva considerato il capo degli Dei creati, e al quale venivano resi gli onori più grandi. Ma questo Dio non era necessariamente esso in tutte le epoche né per tutti i popoli di una stessa religione. Non soltanto ogni gruppo, ogni strato sociale e ogni comunità avevano un dio protettore, ma sceglievano a piacer loro il dio principale. È cosi che presso gli Scandinavi, all’inizio dell’era cristiana, la personificazione suprema del Padre del Cielo era Tyr o Tiu, o Ziu, dal sanscrito Dyeva da cui derivano in greco Zeus e theos, in latino Jupiter (genitivo Jovis) e in antico tedesco Tiwas; mentre all’epoca vichinga Odin (Odinn o Vóden, in Scandinavia; Wuotan o Wodan in Germania) l’avevano soppiantato, non senza che Thor gli disputasse il primato almeno presso gli strati inferiori della popolazione.
La scelta di Odin, quale dio principale, era perfettamente logica. Avatar del Padre del Cielo aveva la Madre Terra, Yörd o Frigg, sia come sposa che come figlia e addirittura, sembra, come madre, il che basta a dimostrare che le genealogie divine sono puramente simboliche. Il Dio Creatore è nell’Abisso Aperto, cioè nella materia – sua madre – come è normale in una religione panteista. Ma egli non può ordinare questa materia e far nascere in tal modo la terra – sua figlia – senza unirsi ad essa – sua sposa. Come creatore, Odin è nemico dell’oscurità e il Sole è uno dei suoi occhi. Poiché il suo soffio anima la materia, è il dio del vento. Gli viene attribuito, inoltre, il ruolo di psicopompo, cioè di guida delle anime.
L’equivalente di Odin nella mitologia della Mesoamerica è un dio principale – in nahuatl teotl, parola simile, a causa dell’origine comune, Dyeva, al theos greco – che porta presso i Nahua il nome di Ollin Tonatiuh, e presso i Maya quello di Kinichahau (Signore della Faccia del Sole). È un dio Solare per eccellenza, il che significa semplicemente che il Sole – Nostro Padre il Sole – ne è una rappresentazione visibile. Il suo nome maya non pone alcun problema, ma le cose vanno ben diversamente per quello che riguarda il suo nome nahuatl. Tonatiuh non ha alcun senso nella lingua dell’Anahuac ed i cronisti, come gli autori moderni, traducono il termine con “Dio” o “Sole”, cioè con ciò che esprime. Ollin (le due l si pronunciano separatamente) significa movimento, e anche terremoto, il che evidentemente non ha che un rapporto lontanissimo con la divinità. Lo strano sta nel fatto che la parola Tonatiuh sembra formata dai nomi di due Dei germanici, Thonar (Thor) e Tiu (Tyr).
Viene spontaneo, allora, chiedersi se Ollin non è per caso una deformazione, del resto lieve se si tiene conto dell’imprecisione delle trascrizioni spagnole – padre Sahagun scrive Donadiu al posto di Tonatiuh – del nome di Odin. Avremo così una triade alla maniera scandinava – Odin, Vili e Vé; Odin, Thor e Frey, ecc. – e alla maniera della Mesoamerica; il Cuore del Cielo dei Quiché-Maya è triplice: Calculha-Hurakan, Chipi-Calculha e Raxa-Calculha. Si tratterebbe quindi d’una trinità sui generis, che comprenderebbe Odin, dio principale, divinità del sole e del vento; Thor, dio del tuono, suo figlio; e Tyr, dio della guerra. Osserviamo a questo punto che il dio solare azteco, Uitzilopochli – il Mago Colibrì – unificato con Ollin Tonatiuh in occasione della conquista dell’Anahuac ad opera dei cacciatori nomadi, è dio della guerra.
Potremmo proseguire la nostra analisi comparativa e mostrare come Yörd trova in Coatlicue, la Madre Terra, il suo equivalente americano; Loki, il dio malvagio, lo trova nel Tezcatlipoca nahuatl e nello Zotzilaha-Chimalman maya, eccetera. Ma, in realtà, identificazioni del genere non proverebbero molto, poiché tutte le religioni che personificano le forze della natura, non hanno, per definire i propri Dei, che un numero ridotto di possibilità. D’altra parte, le analogie che vi abbiamo segnalato fino ad ora – a parte il nome di Ollin Tonatiuh, che ha una portata assai più vasta – diventano insignificanti quando si prende in considerazione Quetzalcoatl.
Abbiamo già conosciuto, nel Capitolo 3, questo personaggio storico, re dei Toltechi nel secolo X e in seguito civilizzatore dei popoli nahuatl e maya. Abbiamo visto come, irritato dall’atteggiamento dei suoi compagni, abbia preso il mare per recarsi nell’America del Sud, dove possiamo seguire le sue tracce. Scomparve fisicamente dall’Anahuac e dallo Yucatan, ma il suo ricordo sopravvisse. Anzi, venne trasformato in un dio che finì per dominare il pantheon della Mesoamerica.
Il dio Quetzalcoatl, bianco e barbuto come lo era stato l’uomo, perde le sue caratteristiche guerriere che erano appartenute a una delle due personalità del re tolteco (cfr. Figura 8). È il prete e il riformatore religioso che si proietta fino al Cielo: e gli viene preparata una biografia mitica che corrisponde alla sua nuova dignità e soprattutto ai valori che egli rappresenta.
Non è facile collocare Quetzalcoatl in rapporto agli altri Dei della Mesoamerica. Infatti, non si aggiunge alla mitologia preesistente, come fece Uitzilopochli, il quale trovò senza eccessiva difficoltà un dio con cui confondersi: si sovrappone invece ad essa e in gran parte la contraddice. Lotta contro Ollin Tonatiuh per prendere il posto di divinità principale e vi riesce, ma senza annientare il rivale. Sotto certi aspetti, si confonde con lui poiché entrambi appaiono come figli di Coatlicue, la Madre Terra, e la loro concezione presenta lo stesso carattere singolarissimo che, a parte la verginità, riproduce il mistero cristiano dell’incarnazione: Coatlicue resta incinta di Tonatiuh dopo aver nascosto sotto la propria veste una piuma bianca trovata in un tempio, e resta incinta di Quetzalcoatl dopo avere ingoiato una pietra preziosa. Dio principale, cioè espressione massima del Padre del Cielo, Quetzalcoatl diventa il Creatore, il dio della vita e, come Odin, il dio del vento attraverso la sua ipostasi Enecatl, Hurakan per i Maya.
Non è questo, tuttavia, l’aspetto più importante della sua personalità: è soltanto la conseguenza della influenza che aveva Acquisito nel quadro di un mondo che l’aveva vinto. Ciò che Quetzalcoatl portò agli uomini è una concezione nuova della vita e quindi della morale. Egli cerca di sostituire al culto sanguinario dell’eroismo una religione di penitenza. È con lui che compaiono le nozioni associate di peccato, di rimorso e di perdono; e, come corollario, quella di redenzione. La vita mistica di Quetzalcoatl, ricalcata sulla sua vita reale ma totalmente trasformata, ci illumina in proposito. Tezcatlipoca diventa suo fratello, dio del Sole e della Terra – il Sole putrefattore – e, con l’aiuto dei suoi complici Ihuimecatl e Toltecatl – quest’ultimo nome si riferisce esplicitamente alla parte avuta dai Toltechi negli eventi che spinsero il loro capo ad andarsene – riuscì a ubriacare il Sacerdote ed a farlo dormire con la bella Quetzalpetatl. Al suo risveglio, Quetzalcoatl pianse sul suo peccato e partì verso il mare. Sulla costa, pianse di nuovo e morì tra le fiamme che egli stesso aveva accese. L’anima dell’uomo-dio discese agli inferi, dove riuscì, non senza pericolo e terrori, a strappare al Signore del Regno dei Morti un mucchietto d’ossa di dannati. Quetzalcoatl le asperse con il sangue che fece scaturire dal proprio pene e grazie a questa penitenza che fu imitata da tutti gli Dei, salvò l’umanità.
La redenzione attraverso il sangue di Dio:è impossibile non pensare immediatamente al Cristo. Si potrebbe anche ricordare il mito di Bàlder, il secondo figlio di Odin, ucciso dal dio cieco Hödr, ingannato dal malvagio Loki. Dio sanguinante e dio piangente. Bàlder discese agli inferi, da dove ritornerà dopo il Crepuscolo degli Dei, riscattato dalle sue sofferenze e dal pianto del mondo, per entrare nel nuovo Cielo. Questa doppia analogia non ha nulla di strano: spesso nel Medio Evo europeo, Gesù e Bàlder si sovrappongono e si confondono. Non può essere semplicemente un caso che il significato originale di Bàldr sia “signore”, e che Gesù Cristo sia chiamato “Nostro Signore”. E i Nahua chiamavano generalmente il loro dio redentore “il Signore Quetzalcoatl“.
Le caratteristiche dell’Itzamna redentore dei Maya sono simili, come si è già visto, a quelle del Quetzalcoatl ascetico. Kukulkan, al contrario, ha conservato come dio la configurazione del Quetzalcoatl guerriero che, nell’Anahuac, tende a confondersi con Ollin Tonatiuh, il dio della guerra, e assume nell’iconografia l’aspetto di Odin (vedi immagine sopra).